MY LAND | Are you ready for the country?

2017

  • Sei pronto per il Paese?
    Scivolare e slittare
    E giocare a domino
    Andare a sinistra e poi a destra
    Non è un crimine, lo sai
    Devi raccontare la tua storia, ragazzo
    Prima che sia ora di andare

    Sei pronto per il Paese? [1]
    Perché è ora di andare
    Sei pronto per il Paese?
    Perché è ora di andare

    Stavo parlando con il predicatore
    Disse che Dio era dalla mia parte
    Poi mi imbattei nel boia
    Disse che era ora di morire
    Devi raccontare la tua storia, ragazzo
    Lo sai il perché

    Sei pronto per il Paese?
    Perché è ora di andare
    Sei pronto per il Paese?
    Perché è ora di andare

  • Sei Pronto Per Il Paese?

    Pasqua e 25 Aprile, Festa della Liberazione, portavano lo stesso regalo. Entrambe erano giornate di vacanza da scuola e, quindi, di festa. Avevo più o meno dieci anni quando cominciai a notare alcune differenze tra le due celebrazioni, probabilmente per la vicinanza delle date. A Pasqua in chiesa, la Domenica, tutti eleganti, grandi sorrisi, tutti felici… il pranzo, la cioccolata… Bello.

    Il 25 Aprile no. Non mi sembrava una festa. Era una faccenda tremendamente seria. Mi impressionava molto l’atmosfera che si respirava. Le facce tirate, gli occhi scuri, le bandiere, il silenzio, i fazzoletti rossi, la banda del paese. Non capivo. Non capivo perché fatti accaduti tanto tempo prima generassero ancora così tanta tensione. Non avevo capito che quelli che a me sembravano anziani erano in realtà dei cinquantenni e che quei cinquantenni trent’anni prima erano lì, in mezzo a un delirio che a me e a tutto quello che avevo intorno sembrava lontanissimo nel tempo.

    “Non piangete, ricordateci.” 479 sono i monumenti dedicati alla seconda guerra mondiale e alla resistenza in tutta la provincia di Reggio Emilia. 479 monumenti sparsi su un territorio di poco meno di 2.300 chilometri quadrati. Uno ogni cinque. “Cosa pensi di aggiungere sui partigiani rispetto a quanto è stato già detto e scritto?”, mi è stato chiesto nel momento in cui mettevo insieme il progetto. Nulla. Sono consapevole di non aggiungere nulla alle migliaia di storie personali, storie di tragedie, soprusi, ma anche storie di riscatto e di grande altruismo.

    Il mio lavoro vuole essere una celebrazione, un gesto di riconoscenza verso migliaia di persone che ad un certo punto si sono trovate, spesso obbligate, a dover fare una scelta. Una scelta che si è rivelata determinante. Una scelta che a noi oggi, dopo oltre settant’anni, ha lasciato un’Europa che non aveva mai conosciuto un periodo di pace così duraturo. Due aspetti, durante la preparazione di questo mio Pantheon di eroi comuni, mi hanno affascinato: la modernità di questi volti e quella sensazione di sospensione temporale che si avverte nei luoghi dove sono caduti.

    Certo, non si può non tenere conto, naturalmente, del fondamentale contributo che altre migliaia di uomini e donne provenienti da ogni angolo del pianeta. Americani, Inglesi, Russi. Ma anche Canadesi, Sudafricani, Neozelandesi, Australiani, Marocchini, Pakistani, Indiani. Ai quali ancora oggi va il ringraziamento per il proprio sacrificio in nome degli ideali di libertà e giustizia. Ideali che purtroppo oggi ancora in tanti luoghi sono solo sulla carta e in altri nemmeno su quella.

    Non ho e non ho voluto una visione ideologica (sono di formazione Pasoliniana e lui decretava la fine delle ideologie già nel 1965) ma la quantità e la diversità dei caduti dimostrano che ad un certo punto non era più possibile chiamarsi fuori, non era sufficiente non essere partigiani, si moriva indiscriminatamente, comunque, a causa di una ferocia cieca quanto inutile. In questo mio pellegrinaggio laico nel trovarmi viso a viso con questi giovani e spesso giovanissimi, mi sono chiesto: loro hanno dimostrato di esserlo, e tu? Sei pronto per il paese?

    Raffaello De Vito

  • “M’hanno impiccato dalla rabbia, alle scuole di Fosdondo. Credevano ch’eravam poco più di due coglioni, eh? Cagasotto che si tiran giù le braghe al primo ‘Alt’. Col cavolo che ti do retta, a te e al tuo alt. Due, ne ho tagliati, e il mio compagno è riuscito a scappare. Bella morte.

    Tanto lo sapevo che era dura portarsi via le mitragliatrici dell’aereo caduto ai Ronchi. Però bisognava provare. Celeste, il mio compagno, di fegato ne aveva, l’ho chiamato io. Mica volevo che se ne andasse per colpa mia… Quando è sbucata la macchina era ovvio che noi due, in bici, non s’andava da nessuna parte. Volevano perquisirci. A me le mani addosso i fascisti non le mettono più, basta, le ho già viste le loro galere…

    Spara bene chi spara primo, ho imparato. E gli ho fatto vedere di che pasta è fatto un partigiano. Nome di battaglia Giuseppe, santo dei becchi, comandante gappista, 37a brigata, secondo battaglione. M’impicchino pure da morto, non sarò il solo a finir così. La Storia insegna.”

    Gisberto Vecchi / 1° luglio 1944 / Fosdondo

  • “‘Avanti lavativi!’, così ci han detto. A noi, che lavoravamo alla bonifica e solo uno che poteva dirsi partigiano. Che neanche lo sapevano. Che neanche l’han domandato—Ma siam qui che lavoriamo, boia d’un can lèder! Si diventa sordi in Brigata Nera?!—Pes che andèr a l’orba! Eran lor la bròta orda…

    Ci han presi su, e via col camion. La rabbia in corpo, ecco quel che avevano. ‘Viva la Repubblica!’, han sbraitato. Volevan vendicarsi dei loro, tutto lì… Quattro ne avevan persi al Ponte Nuovo. ‘Bestie!’, ci gridavano. ‘Raza ed vigliàc!’, e poi giù botte. ‘Traditòr!’, e botte ancora. Poi fermarono il camion. Ci sbatton giù. Ci calciano in fila. ‘Viva l’Italia!’, ho gridato ch’ero l’unico.

    Non si può, non si può, non si può. Voci al vento. Di schiena ci han massacrati. E sai perché? Va là ch’è semplice… Perché negli occhi, era difficile guardare.”

    Caduti di San Prospero / 1° dicembre 1944 

  • “Quella sera lì, alla riunione, mi avevano fatto segretario. Capite? Per uno come me che il ventennio se l’è fatto tutto dall’altra parte quello era più di un onore. Era la gioia di dire… Beh, non sono andati via invano tutti questi anni, che in certi periodi veniva proprio voglia di mettersi un cuscino in testa e dire basta, non voglio sentire, non voglio vedere, l’è troppo dura andar avanti così.

    Ma ormai quello era l’ultimo degli inverni. La voce correva, la speranza me la cucivo in gola. Perché un sogno non costa niente, ma ti cade addosso come una bugia se non si avvera. E allora mi tenevo stretta almeno la soddisfazione. Segretario provinciale del PCI. Oh, mica roba da ridere… E la voglia di dirglielo a mio fratello era così tanta, che un salto a casa lo dovevo fare. Ma ad Alciso me l’avevano già pestato a sangue e ad aspettarmi c’era la Repubblica sbagliata. Ho provato a scappare per i campi, ma in pianura non si fa mai tanta strada. E poi c’era la neve. Mi ci sono impantanato dentro fino alle ginocchia. Un bersaglio perfetto. I fascisti si son divertiti a centrarmi il cranio. Neanche il tempo di imprecare, ch’ero già freddo. E crepar così proprio in quel giorno… Beh, Insomma, la morte di un capo me l’ero immaginata un po’ diversa. Ma proprio tanto. Vacca bestia… han ragione a dire che a morire siam tutti uguali.”

    Vittorio (Toti) Saltini / 25 gennaio 1945 / Fosdondo

  • “Quando ho visto che lo volevano seppellire nella concimaia, beh, non ci ho più visto. Già avevan ridotto a uno straccio mio fratello Adalciso. Poi avevan buttato gli occhi su Silvana, mia nipote, diciassette anni e immaginate il fiore che era… Le han sputato in faccia tante di quelle porcherie da far diventare rossa anche la neve. E allora mi è scoppiato un dolore dentro, ma proprio dentro al petto che l’ho dovuto gridare forte, che a Toti non lo dovevano fare quello schifo—’C’av vègna un canchèr, bròt scarafòg vigliàc, farabòt, delinquèint’—dopo vent’anni di silenzio la lingua mi è partita come una scheggia. Mica mi sembrava di essere me a parlare: Era come se… come se… va a sapere cos’era. So solo che non mi fermavo più e allora ci han pensato loro. Con due buchi in seno. Poi sì che la neve è diventata rossa… Almeno quella, m’è venuto da pensare. Che strano, eh? Ma quando si muore, ti vengono in mente certe cose…”

    Vandina Saltini / 25 gennaio 1945 / Fosdondo

  • “A seppellire i morti si rischia sempre di far la stessa fine… Mica si può abbandonarli all’aria, no? Nel carpigiano, per noi, era pericoloso scoprirci… e siam venuti fino a Budrio, al cimitero, faccia a faccia con sorte identica. In quei giorni, il rastrellamento era la norma. Segno che il fronte si avvicinava, e la Wermacht era nervosa… Han preso noi ed altri sessanta per ostaggio. Ma la Wermacht ha solo finto di trattare, avevan già scelto la rappresaglia.

    ‘Chi sotterra un partigiano, sotterra un bandito’. Così ci han detto. O forse han preso noi perché eravam di fuori. Credevamo allo scambio… Due dei loro, due ufficiali, l’avevan fatta da preda giù a San Biagio.
    E come deterrente han scorciato noi quattro. La trattativa ristagnava. Sfido… mica eran più vivi quei due. Ma loro non potevano saperlo… È per metter fretta ai nostri che ci han portato a Ponte Nuovo.
    Bel modo di trattare… una sferragliata e via. Così si finisce ad esser prigionieri il giorno sbagliato. Così si finisce quando si è alle strette. Così si finisce se è solo il fucile ad aprir bocca.”

    Ettore Giovanardi / 13 o 16 marzo 1945 / Ponte Nuovo

  • “Avete idea di cos’è una battaglia? Ve lo dico io: è una cosa che ci si capisce dentro poco. Con gente che urla, sbraita, scappa, corre, si nasconde, e poi spara. E in quel bordello quand’ho sentito gridare il mio nome—’Carburo!’—mi son detto: se mi conoscono vado avanti io. Che era arrivato un gruppo che non si sapeva mica chi erano. Ho fatto presto ad impararlo. Han aspettato che arrivavo vicino, ma vicino tanto, che non mi si poteva sbagliare. M’han freddato proprio tutto. Una roba da vigliacchi.”

    Paride Carminati alias ‘Carburo’ / 15 maggio 1945 / Fosdondo

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    EVERYBODY KNOWS THIS IS NOWHERE

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